domenica 29 marzo 2020

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Sono mancati Pippo Carrubba, donatore dell''omonimo fondo documentario, e Mario Picco

La morte di Pippo Carrubba, storico compagno operaio, scrittore di libri e testimonianze sulla sua vita di lotte, ci addolora molto. Così lo ricorda Luca Borzani in un post su Facebook:
"Ho appena appreso la notizia della morte di Pippo Carrubba. É stato parte di quella generazione operaia immigrata che si è misurata con il neocapitalismo di fabbrica. Capace di lotte anche di minoranza, di misurarsi con il sapere come indispensabile strumento della coscienza di classe, di esprimere un pensiero mai conformistico, insieme libertario e di straordinaria umanità. I suoi libri a cui negli anni si era sempre più dedicato sono una grande testimonianza intellettuale, uso apposta il termine, di una stagione in cui il futuro sembrava a portata di mano. Un abbraccio Pippo".


Apprendiamo anche della morte, ai primi di marzo, di Mario Picco, un compagno del "movimento". Così lo ricorda suo fratello Michele, in un post della lista di discussione dell''Archivio, pubblicato da Roberto De Montis:
" Da giovanissimo, nell’àmbito dell’Azione Cattolica, conobbe una giovane famiglia di cui il marito era invalido per la vista, si mise dei tamponi sugli occhi e con un normografo affrontò sue ricerche per cercare di capire quali difficoltà avessero avuto i ciechi e come sarebbe stato possibile dare loro un aiuto, un sostegno pratico utile che gli valse, oltre alle ingiurie ed alle furiose, violente idiosincrasie di nostro padre, alla apertura di primi centri per ciechi in Genova, ad un calo di parte della vista con una miopia che lo obbligò a portare gli occhiali fino ad una quindicina d’anni or sono.

Non entro nel merito, poiché ero ancora abbastanza piccolo, negli anni in cui Mario prese parte tra gli organizzatori delle grandi manifestazioni studentesche ed operaie del 1968, prima con il GOS (Gruppi Organizzativi Studenteschi) e di buona parte degli anni ’70 quando insieme al Dr. Giorgio Raiteri diedero vita alla realtà genovese di Potere Operaio, avanguardia storica della sinistra extraparlamentare di allora che aveva in Toni Negri ed altri, tra i più noti in Italia.

Protagonista per la mobilitazione giovanile per gli interventi di ripristino della normalità della vita cittadina nel 1970 per la grande alluvione capitata anche a Genova dopo quella di due anni prima a Firenze, fu (non saprei con precisione quando) dei fondatori dell’Autonomia Operaia a Genova.
Ma, molto spesso, le unioni non sempre hanno buona fortuna e così fu anche tra i primi a lasciare quella entità, per molti aspetti molto variegata.

la prima specifica aggregazione interessante della quale io abbia potuto assistere e prendere parte fu l’apertura di un circolo culturale interamente voluto e gestito da lui, denominato d’accordo con un insegnante molto amato dai suoi studenti, redattore in uno dei due più importanti quotidiani cittadini.

In un luogo parzialmente ameno, nei dintorni del centro cittadino, “La Corte dei Miracoli”, così venne chiamato il Circolo, per contenuti e attività rappresentò in quell’epoca, dopo il boom del movimento giovanile del ’68, gli esordi di una attenzione ed un gusto della vita più ampio e completo rispetto alla modalità ortodossa delle varie forme di leninismo interpretate dai vari gruppi della sinistra extraparlamentare di allora o da parte di quella storica.
Presso quel circolo culturale, dove vennero invitati a fare rappresentazioni gruppi che facevano teatro, danza, massaggio reichiano, espressione corporea, fondò il “Movimento di Riappropriazione Comunista della Vita” il quale, prendendo parte anche a manifestazioni politiche, si distingueva dal movimento che stava via, via alienandosi, banalizzando e rendendo sterile la propria azione di aggregazione politica e sociale. Partecipai così alle prime “performance”, eventi sub teatrali di piazza, che scuotevano le vite ingrigite, malandate e poverissime presenti nel Centro Storico di Genova, suscitando attenzioni un po’ dovunque.
In questa città, ancora assorbita da tanta povertà per la quale erano stati costruiti nuovi quartieri popolari un po’ dappertutto, poiché sebbene migliorativa per tutte le generazioni la vita era assai dura e molte volte amara, suscitava giustamente l’essere avversi al bigottume, anch’esso diffusamente presente, vivacizzato da teatrali che non andavano oltre una certa parodia.
Ricordo per esempio la “processione delle streghe” con la quale allertavamo la gente (o così tentavamo di fare) su quello che poi sarebbe diventato un vero e proprio flagello: mentre davanti folletti saltellanti portavano allegri un gigantesco spinello, simbolo di tanta allegria e socialità tra i giovani e non soltanto, poco dopo seguiva un Cristo che, circa il calvario, portava sulle spalle, anziché una croce, un’enorme siringa, simbolo del pericoloso avvicinamento anche nella nostra città dell’eroina e della cocaina, le droghe pesanti.
Iniziative come quella vestiti da calciatori di due squadre fantomatiche, una con la maglietta con la scritta “Avanguardia Operaia” e l’altra “Lotta Comunista”, un arbitro con la scritta sulla maglia “Lotta Continua” giocavano a rincorrere la palla ed ad emulare un incontro calcistico in mezzo ad un corteo del movimento, prendendo in giro le dispute per ottenere la testa del corteo mentre altri con magliette dei due gruppi distribuivano volantini con la scritta d’inizio “Compagni” il foglio bianco e la finale firma “Movimento di Riappropriazione Comunista della Vita”.
Non ultima la “battaglia a cannonetti” con le cerbottane in Piazza De Ferrari dove due gruppi si affrontavano in una finta guerra metropolitana tra cosche lungo via Venti Settembre e vie limitrofe".



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