Il fondo consiste in una cartella contenente una mostra documentaria, frutto dell'attività politica del Collettivo operaio portuale, attivo dai primi anni Settanta tra i lavoratori del porto e di cui Bruno Rossi è stato un esponente di spicco.

Completano il fondo una cartellina con volantini e documenti sullo stesso tema.

Bruno Rossi ha donato ad Archimovi anche un insieme di manifesti, schedati al link https://www.archiviomovimenti.org/public/68mr/IM_Rossi.pdf



Bruno Rossi, nato a Imperia nel 1940, portuale e attivista politico per decenni alla testa delle lotte degli operai del porto. Avanguardia "storica" impegnato anche a tutto tondo nelle lotte sociali e politiche. In quegli anni Rossi è stato delegato sindacale, responsabile e poi dirigente CULMV e dirigente e vicepresidente FILT-CGIL. Rossi è anche stato militante di Rifondazione Comunista.

Colpito dalla tragica vicenda della morte della figlia Martina, precipitata da una finestra per sfuggire a uno stupro durante un viaggio in Spagna con altri compagni studenti. Bruno si è battuto con tutte le sue forze per dieci anni per assicurare i colpevoli alla giustizia, alla fine riuscendoci.



Si trascrive qui l'introduzione ai pannelli della mostra, realizzata da Archimovi nel 2017, sul "Lungo 68" a Palazzo Ducale, dedicati al Collettivo operaio portuale:

COLLETTIVO OPERAIO PORTUALE



«Le lotte sono la materia prima per il prodotto che vogliamo costruire, l’organizzazione operaia

Il Comitato di Agitazione Permanente (1969-1972) nasce da una dozzina di portuali della CULMV, giovani avventizi e alcuni soci usciti dal PCI, in contatto con i collettivi e i gruppi extraparlamentari (Lotta Continua, Lotta Comunista). Il terreno di lotta è l’egualitarismo e l’unità operaia. Lo scopo primo è affrancare gli avventizi nei confronti dei Soci che dominavano corporativamente la Compagnia e l’organizzazione del lavoro: non avevano diritto di voto né certezze sulle giornate di lavoro e di salario che i soci, rappresentati in stragrande maggioranza da PCI e CGIL, si accaparravano con discrezionalità. Sullo sfondo si avvia la trasformazione del lavoro portuale, il rapporto tra investimenti in capitale e lavoro si ribalta e richiede maggiore produttività: cambiano i processi e si riduce la domanda di lavoro, si evoca il porto come azienda. I soci scaricano le contraddizioni e i costi materiali dei cambiamenti sugli avventizi. Il primo volantino del CdA porta il titolo «Ne abbiamo i coglioni pieni». Dirigenti della Compagnia, PCI e sindacato vengono “travolti dalle assemblee”, dagli scioperi, dalle lotte, cresce il consenso per il CdA e si raggiungono i primi obiettivi: nel 70 viene eletto un avventizio nella direzione della CULMV, si ottiene il primo salario garantito che si rafforzerà negli anni. Nel 72 si esaurisce l’esperienza del CdA, nasce il Collettivo operaio portuale (1972-1978). Negli anni, con una serie di successi assembleari e di lotte, il Collettivo contribuisce alla reale sindacalizzazione dei portuali e alla scrittura di regole contrattuali unitarie dove invece vigeva l'arbitrio e la divisione tra i lavoratori: su turni, salario, orario, cottimi, assunzioni. Estende la sua presenza tra i soci, raggiunge la maggioranza dei delegati, entra nei direttivi sindacali locali e nazionali, nel consiglio della CULMV, mentre stringe rapporti con i portuali italiani e europei. Partecipa alle lotte sociali contro la politica economica dei governi, l’inflazione, il carovita, e al confronto politico e ideologico sul “compromesso storico, dopo il colpo di stato in Cile, sulla lotta armata ( con il volantino “Né con lo Stato né con le BR” che provoca una polemica nazionale). Nel 1978 il Collettivo si scioglie, decidendo di entrare nelle “stanze dei bottoni” CULMV e del sindacato per portare avanti dal loro interno la sua visione di autonomia operaia e gli interessi dei lavoratori portuali.



Riordinamento e descrizione a cura di Liliana Sanna e Paola De Ferrari




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